In un mondo ideale, il traduttore traduce. Ma visto che viviamo nel mondo reale, il traduttore può ritrovarsi anche a fare editing quando non addirittura a riscrivere.
Qualche tempo fa, una mia carissima amica redattrice mi ha chiesto: “Ma quando lavori su un testo, tu non controlli che non ci siano castronerie?“. E io le ho risposto: “Sì. O almeno, siccome tutte le volte che inciampo in qualcosa che non so, faccio almeno una ricerchina veloce, se becco l’errore, la svista o che so io, correggo o segnalo alla redazione”. E ho aggiunto che per me è normale, ma non so se e quanto sia prassi.
La verità è che l’argomento è spinoso, per una serie di ragioni.
Tanto per cominciare, ci pagano talmente poco che è già tanto se traduciamo e basta. Tra l’altro, sui nostri contratti c’è sempre scritto che il traduttore si impegna a consegnare un lavoro aderente all’originale e bla bla bla.
E soprattutto, non tutti gli errori sono uguali. Su alcuni si può intervenire a cuor leggero, su altri bisogna andarci con i piedi di piombo. Perché un conto è correggere una svista palese, un altro è fare editing o riscrivere quando nell’originale ci sono incongruenze o palesi buchi di trama.
In questi casi, cosa bisogna fare? Come bisogna muoversi?
In un mondo ideale, bisognerebbe segnalare alla redazione e all’autore e prendere le decisioni assieme. Nel mondo reale, raramente succede – soprattutto perché, in editoria, i tempi sono sempre stretti, si lavora costantemente sul filo del rasoio. Personalmente, senza stare a pensarci troppo, io intervengo e segnalo. Pur sapendo che se un libro è infarcito di errori, per uno che ne becco, ce ne saranno tre che mi sfuggono.
Il punto, però, è un altro. E richiederebbe una riflessione da parte della categoria. Anzi, editori e traduttori dovrebbero proprio sedersi attorno a un tavolo e ridiscutere il concetto di autorialità.
Ecco, piccola parentesi. La traduzione, almeno quella editoriale, rientra nel diritto d’autore. Da un punto di vista giuridico e fiscale, la traduzione è considerata un’opera dell’ingegno. In soldoni, il traduttore è l’autore della traduzione.
Ma nel momento in cui il traduttore si ritrova a dover fare editing o a riscrivere, forse, non è più solo l’autore della traduzione. Ecco perché dico che bisognerebbe ridiscutere il concetto di autorialità, per non parlare del riconoscimento economico – perché, sarà poco romantico, ma non è per la gloria che si lavora, si lavora per pagare l’affitto o il mutuo, le bollette, mangiare, vestirsi, eccetera.
DISCLAIMER: I miei post non hanno la presunzione di rivelare la verità assoluta. Sono solo riflessioni di una traduttrice tra tante. Dicono qualcosa del mio approccio a questo lavoro, che non è l’unico e – soprattutto – non è necessariamente quello migliore. Ma tant’è.