In linea generale – e badiamo bene, là dove c’è una regola o anche solo un criterio generale, c’è sempre almeno un’eccezione – penso che i nomi, cioè i sostantivi – ma non quelli astratti – vadano via abbastanza lisci, senza creare chissà quali rogne. Eppure.
Attenzione, trigger warning: filosofi del linguaggio e bimbi di Wittgenstein, non continuate a leggere o potreste avere un malore.
Una sedia è una sedia, no? Dipende. Perché, per esempio, chair può sì essere una sedia, ma può anche essere una poltroncina. Una casa è una casa, giusto? Insomma. Perché se io ti dico come to my home, ti sto sì invitando a casa mia, ma casa mia potrebbe essere un appartamento, un castello o perfino una palafitta. Se invece ti dico come to my house, ti sto ancora invitando a casa mia, ma sto facendo qualcosa di più, ti sto dando anche informazioni sul tipo di posto dove abito, che non è un appartamento, né un castello e neppure una palafitta.
Questi però, il più delle volte, non sono problemi insormontabili. Nella stragrande maggioranza dei casi, come dicevo prima, vanno via abbastanza lisci, un po’ per mestiere, un po’ perché probabilmente il testo ci offre una serie di indizi che ci aiutano a imbroccare la strada giusta.
D’altro canto, non tutti i nomi sono uguali – e alcuni nomi sono meno uguali di altri.
L’altro giorno, per dire, mi sono imbattuta in un tuxedo couch. Ovviamente, non sapendo di che tipo di divano si trattava, ho fatto quello che fa qualsiasi traduttore ansioso di finire le paginette del giorno e spegnere il pc, ovvero: ho cercato sul dizionario. Naturalmente il bilingue non mi è stato di nessun aiuto, ma il monolingue ha fatto il suo sporco lavoro – o quasi.
Ecco la definizione che dà il Merriam-Wester del tuxedo sofa (o couch che dir si voglia):
an upholstered sofa with slightly curved arms that are the same height as the back
Comincio a farmi un’idea, ma è ancora troppo vaga, quindi il passo successivo è una bella ricerca per immagini – grazie Google, TVB.
E là, avviene il primo cortocircuito. Nella maggior parte delle foto di tuxedo sofa(s) che vedo, i braccioli non mi sembrano curved, nemmeno slightly curved. Penso: sii gentile, Merriam-Webster, non portarmi fuori strada. E nel frattempo mi viene in mente un altro tipo di divano che, per certi aspetti, un po’ somiglia a questo tuxedo sofa, ovvero il Chesterfield.
Sono perfettamente consapevole che si tratta di due modelli diversi, ma almeno ho qualcosa da cui partire, una chiave di ricerca per approfondire. Scopro, cosa che a questo punto non mi stupisce più di tanto, che qua e là esistono articoli dove si mettono a confronto proprio i due modelli. Dunque, il tuxedo è considerato una specie di “cugino” del Chesterfield, e la differenza più evidente tra i due sta proprio nei braccioli: arrotondati o leggermente arrotondati quelli del Chesterfield, squadrati quelli del tuxedo – capito Merriam-Webster?
C’è solo un ma, ed è questo: come cribbio si chiama in italiano questo simpatico tuxedo sofa? Chiaramente non ne ho idea. Online, trovo delle occorrenze per divano tuxedo, ma non fanno molto testo, visto che compaiono quasi esclusivamente su e-commerce di divani e simili. E sono ragionevolmente convinta che il mio lettore ideale (sì, quando traduco ho sempre in mente un lettore ideale che, a suo modo, mi guida in certe scelte), di fronte a un ipotetico divano tuxedo proverebbe un attimo di smarrimento e perplessità, che forse si fermerebbe a chiedersi cosa diamine è un divano tuxedo, perdendo di vista quello che conta davvero in quel punto del libro – spoiler: non è il modello del divano che conta.
Mi chiedo: qual è il peso specifico di questo tuxedo sofa in questo libro, in questa pagina, in questo paragrafo, in questo rigo? Mi rispondo: è un peso specifico trascurabile. Non conta sapere esattamente di che modello di divano stiamo parlando, ma capire cosa veicola quel modello di divano. E cosa veicola, qui e ora? Benessere e un certo privilegio.
E quindi? Che faccio? Ovviamente non cambio modello di divano, sarebbe una scelta arbitraria oltre che immotivata. E visto che non voglio mettere i bastoni tra le ruote al mio lettore ideale – non qui, non ora – decido che il tuxedo sofa diventerà, in italiano, un divano capitonné.
Pur essendo un termine di origine straniera, capitonné è stato da lungo tempo accolto nei dizionari italiani. E benché indichi una specifica lavorazione blablabla, in certi ambiti è diventato quasi un sinonimo di imbottito – e la prima cosa che ci dice il Merriam-Webster, e che ci hanno confermato le immagini, riguardo al tuxedo sofa è che è upholstered, ovvero imbottito. Al mio orecchio, tra l’altro, un divano capitonné, forse per la sua allure francese, evoca benessere e una punta di privilegio.
Va da sé che questa soluzione non sarebbe stata convincente in altri casi. Se, per esempio, la mia protagonista fosse un’arredatrice di interni, intenta a sciorinare modelli di divani a una cliente alle prese con un rinnovo del mobilio, non me la sarei cavata così facilmente. Stavolta mi è andata di lusso, via.
DISCLAIMER: I miei post non hanno la presunzione di rivelare la verità assoluta. Sono solo riflessioni di una traduttrice tra tante. Dicono qualcosa del mio approccio a questo lavoro, che non è l’unico e – soprattutto – non è necessariamente quello migliore. Ma tant’è.