Una cosa che ho sempre cercato di fare, fin dagli albori – perché mi piace e perché è utile, o per lo meno lo è per me – è leggere libri affini a quello che sto traducendo.
Qualcuno dirà: Ma non ti annoi? Be’, no. Anche perché, non prendiamoci in giro, finché non consegni, dal libro non esci, non hai scampo. Parlo per me: di certo non lavoro 24 ore al giorno, ma anche quando non lavoro, in un certo senso, cervello e inconscio lavorano per me – ogni tanto, anche nel sonno, ahimè. Nel corso della giornata, capita che quella parola, quell’espressione, quel riferimento culturale passino a farmi un saluto veloce, come a dire: Oh, ti ricordi che abbiamo un conto in sospeso? E perfino nei momenti in cui credo di essere totalmente altrove, mi accorgo di essere ancora dentro al libro – mentre sono in fila alla cassa del supermercato o mentre sto guardando una serie oppure mentre sto spettegolando al telefono con un’amica, di colpo arriva una suggestione che può sollevare un dubbio o risolvere un problema.
Appurato che, come dicevo, il libro che stai traducendo non ti lascia scampo, mi dico: Fatto trenta, faccio trentuno. Ed ecco perché cerco di leggere libri affini.
Cosa intendo per libri affini? Libri che condividono temi, stile, ambientazione o anche semplicemente quello che definirei mood – un mix di atmosfere, sguardo, intenzione.
Mi piace, dicevo. E lo trovo utile, aggiungevo. Perché è una cosa che mi aiuta non solo a rimanere immersa nel libro in maniera consapevole e a non perdere il focus, ma soprattutto mi confina all’interno di un mondo – o di una galassia – che ha una sua coerenza. E la coerenza, quando si traduce narrativa, è o dovrebbe essere un faro.
Ecco perché nei prossimi mesi vorrei leggere romanzi di giovani autrici ebreo-americane, romanzi ambientati nel sottobosco dell’industria del cinema hollywoodiano, ma anche – e soprattutto – romanzi che parlano di rapporto col corpo, col cibo, col sesso e anche di mummy issues. (A tale proposito, ogni suggerimento è bene accetto.)
DISCLAIMER: I miei post non hanno la presunzione di rivelare la verità assoluta. Sono solo riflessioni di una traduttrice tra tante. Dicono qualcosa del mio approccio a questo lavoro, che non è l’unico e – soprattutto – non è necessariamente quello migliore. Ma tant’è.