Di traduzione si parla poco, tanto che il traduttore potrebbe far pensare al fratello figlio unico malpagato, derubato, deriso, disgregato di Rino Gaetano. D’altro canto, quando se ne parla, spesso se ne parla male – forse perché a prendere la parola non sono quelli che la traduzione la praticano quotidianamente. Che il traduttore, o almeno il traduttore puro, a differenza per esempio dello scrittore o del giornalista prestato alla traduzione, sia condannato oltre che all’invisibilità anche al mutismo? Io credo che bisognerebbe parlare di traduzione, e tanto, ma con cognizione di causa, senza prosopopea, ricordando e ribadendo che tradurre non è solo passione o abnegazione, anzi – tra l’altro, forse è arrivato il momento di abbandonare una certa retorica vecchia e impolverata, di lasciarsi alle spalle quell’aura artistico-romantica che non solo è totalmente scollegata dalla realtà ma, soprattutto, non aiuta la categoria. Perché, diciamolo – diciamolo forte e chiaro, diciamolo una volta per tutte, diciamolo senza vergogna – tradurre è prima di tutto un mestiere, duro lavoro sul testo, gavetta, anni di formazione e anni di esperienza, competenza, professionalità. Che si parli di traduzione, dunque, che se ne parli tanto, ma che si lasci la parola a chi la traduzione la pratica tutti i giorni.
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