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Dire quasi la stessa cosa

Tradurre non è tradire. Forse lo è stato un tempo, ma le cose sono cambiate, e ostinarsi a usare questa formula, per me, non ha molto senso. Semmai, tradurre è dire quasi la stessa cosa – sì, il titolo del saggio di Umberto Eco era azzeccatissimo. E la chiave di tutto è chiaramente il quasi.

Tanto per cominciare, bisognerebbe intendersi una volta per tutte sul significato da attribuire al termine fedeltà. A cosa deve – o dovrebbe – essere fedele una traduzione? Alla lettera? O piuttosto allo spirito, alla carne e all’intenzione del testo dell’originale?

Facciamo un esempio, prendendo una banalissima espressione idiomatica inglese: it’s raining cats and dogs. Sappiamo tutti cosa significa. Bene, in nome della fedeltà alla lettera, in italiano, dovremmo dire: piovono cani e gatti – anzi, forse perfino stanno piovendo cani e gatti. E saremo tutti d’accordo nel pensare che no, no e ancora no, nemmeno Google Translate. Giusto?

In realtà, dobbiamo semplicemente chiederci: cosa significa quella espressione? E poi trovarne una, in italiano, che dica – appunto – quasi la stessa cosa.

Piove a catinelle, piove a secchiate, piove che dio la manda – eccetera. Cambiano le parole, ma sarebbero tutte traduzioni fedeli. Perché, in italiano, significano proprio quella cosa. Certo, come dicevo parlando di the school of hard knocks, una non vale l’altra – è sempre il contesto a suggerci quale sia la scelta migliore, quella più intonata.

Ovviamente la realtà non è così semplice, e i nodi da sciogliere spesso sono ben più intricati.

Facciamo un altro esempio, stavolta dalla vita vera, cioè da un libro che mi è capitato di tradurre di recente.

Sometimes the metaphorical significance of a random event startles with its application to your life.

E ora, un po’ di informazioni sparse che servono a contestualizzare. Tanto per cominciare, si tratta dell’incipit di un romanzo. Romanzo di intrattenimento che, perciò, deve essere prima di tutto scorrevole e brillante – nei limiti del possibile.

Proviamo a tradurla parola per parola, in stile versione di latino: Certe volte, il senso metaforico di un evento casuale ti colpisce per come si applica alla tua vita – more or less. Direi che, messa così, urla Google Translate da tutti i pori, no?

Ora tentiamo di migliorare l’italiano, magari. Anzi no, perché questo modus operandi, per come la vedo io, genera mostri. E io lo evito come la peste – salvo in rarissimi casi, quando ho bisogno di fare quell’operazione lì, di scomporre la frase, per coglierne il senso.

È sconvolgente come, alle volte, un evento del tutto casuale si riveli una perfetta metafora della vita.

Io ho tradotto così. E ho tradotto così in prima battuta, senza starci troppo a pensare. Certo, mi direte, hai anticipato, dislocato, trasformato verbi in aggettivi, e chissà che altro. Certo, vi risponderò, era necessario. Prima di tutto, perché l’inglese e l’italiano sono due lingue diverse, e la sintassi dell’una non è sovrapponibile a quella dell’altra. Ma anche perché io dovevo partorire qualcosa che filasse in italiano, che non puzzasse di traduzione lontano un miglio, ma che suonasse naturale e avesse ritmo.

È una traduzione fedele? Sì, abbastanza. Poteva essere più fedele? Probabilmente sì. Ma a che prezzo? Al prezzo di allontanarsi dalla cosa più importante, ovvero dall’intenzione del testo – ma di intenzione parlerò in un altro momento.


DISCLAIMER: I miei post non hanno la presunzione di rivelare la verità assoluta. Sono solo riflessioni di una traduttrice tra tante. Dicono qualcosa del mio approccio a questo lavoro, che non è l’unico e – soprattutto – non è necessariamente quello migliore. Ma tant’è.