Non è elegante sputare nel piatto dove si mangia, certo. E nessuna persona sana di mente si permetterebbe mai di sparare a zero – non pubblicamente, almeno – su un libro che ha tradotto. La verità, però, è che è capitato a tutti – a chi più e a chi meno – di tradurre libri che, se non dovessimo portare a casa la pagnotta, avremmo lanciato dalla finestra dopo nemmeno venti pagine. Ecco, non è questo il caso dei Ragazzi addormentati.
Devo aprire una parentesi. Ogni anno, verso la fine dell’estate, spulcio i cataloghi degli editori francesi per sapere cosa uscirà per la rentrée. Certo, col passare del tempo, ho perso un po’ di entusiasmo, lo ammetto. Ma continuo a spulciare. E l’estate scorsa, tra i millemila titoli in uscita, uno aveva catturato la mia attenzione: il romanzo d’esordio di tale Anthony Passeron, intitolato Les enfants endormis. L’ho letto, mi è piaciuto, e ho pensato che avrei tanto voluto tradurlo.
Poi, con la complicità dell’universo – che ogni tanto una gioia la regala a tutti, a chi più e a chi meno – l’ho tradotto.
La cosa magari non incredibile ma sicuramente insolita è che oltre ad essermi piaciuto quando l’ho letto la prima volta, ha continuato a piacermi mentre lo traducevo, mentre lo rivedevo, e perfino quando mi sono arrivate le bozze finali. E ve lo giuro, non capita spesso, perché il più delle volte si arriva saturi, completamente saturi, alla fine del processo.
Tra l’altro, era (ed è) un libro lontano dalle mie corde, non tanto dalle mie corde di lettrice quanto da quelle di traduttrice, perché è tutto in levare. Eppure è stato interessante e stimolante, per me, cimentarmi con una lingua misurata, distaccata, a tratti dimessa e perfino asettica – una lingua funzionale al libro, perché trattandosi di una vicenda straziante, se anche lo stile fosse stato carico di pathos, il romanzo sarebbe probabilmente risultato squilibrato.
Invece l’equilibrio è perfetto. Così com’è perfetto il ritmo impresso dall’alternarsi di due filoni narrativi: da una parte il calvario familiare, dall’altra la ricostruzione della ricerca medico-scientifica sull’Aids, con la storia privata di una famiglia come tante che si intreccia inestricabilmente con una storia ben più grande e collettiva.
DISCLAIMER: I miei post non hanno la presunzione di rivelare la verità assoluta. Sono solo riflessioni di una traduttrice tra tante. Dicono qualcosa del mio approccio a questo lavoro, che non è l’unico e – soprattutto – non è necessariamente quello migliore. Ma tant’è.