Quando si traduce, e soprattutto quando si traduce narrativa, si è continuamente costretti a fare delle scelte, con la consapevolezza che ogni volta, per forza di cose, si perde qualcosa – ma anche che ogni eventuale perdita può essere riequilibrata da un guadagno.
In un romanzo che ho tradotto di recente, a un certo punto, mi sono trovata a dover decidere come rendere in italiano un’espressione idiomatica che, di primo acchito, non è nemmeno particolarmente ostica o problematica. Ma, come si dice, il diavolo sta nei dettagli.
L’espressione era the school of hard knocks. Nessuna difficoltà di comprensione per chiunque mastichi un po’ l’inglese, ma anche svariate possibilità di resa in italiano.
Piccola parentesi: di fronte a un’espressione idiomatica, secondo me, la cosa da NON fare mai è consultare il dizionario bilingue, per evitare di adagiarsi su soluzioni pigre e grigie.
Il Ragazzini, ottimo dizionario, usato da tanti valenti traduttori suggerisce, per the school of hard knocks, questa traduzione: “la dura scuola dell’esperienza personale”. Utilissimo per chi vuole capire cosa significhi, e fine.
Meglio, per come la vedo io, consultare un dizionario monolingue (magari anche più di uno) e poi cercare l’equivalente italiano all’interno del nostro bagaglio linguistico personale.
Il Cambridge dà questa definizione: “If you learn something in the school of hard knocks, you learn it as a result of difficult or unpleasant experiences”. E il Collins quest’altra: “the experience gained from living, esp. from disappointment and hard work, regarded as a means of education”. Pochi dubbi sul senso, no?
Wikipedia dedica addirittura una paginetta a questa espressione idiomatica, offrendo ulteriori spunti di riflessione – e di confusione. Dice infatti: “The School of Hard Knocks (also referred to as the University of Life or University of Hard Knocks) is an idiomatic phrase meaning the (sometimes painful) education one gets from life’s usually negative experiences, often contrasted with formal education”. E poi: “It is a phrase which is most typically used by a person to claim a level of wisdom imparted by life experience, which should be considered at least equal in merit to academic knowledge. It is a response that may be given when one is asked about their education, particularly if they do not have an extensive formal education but rather life experiences that should be valued instead. It may also be used facetiously, to suggest that formal education is not of practical value compared with ‘street’ experience”.
E quindi? Come lo traduco in italiano?
La traduzione non è una scienza esatta, non sempre 2+2 fa 4 e, in casi come questo, le possibilità non sono infinite ma sono sicuramente numerose.
A me, infatti, erano venute in mente diverse opzioni: l’università della vita, la scuola della strada, un bagno di vita vera, la scuola delle pizze in faccia, la scuola dei calci sui denti.
Solo che, purtroppo, una soluzione non vale l’altra, perché ci sono tante variabili da considerare, ed è lì che bisogna riflettere, valutare, scartare e, infine, decidere.
Ho immediatamente scartato l’università della vita perché in un’epoca post-Facebook e post-tante-altre-cose, la trovo troppo connotata – e non in senso positivo.
Ho scartato anche la scuola della strada perché mi porta a contesti urban, se non addirittura urban-ghetto, a un immaginario street e hip hop – e no, non funziona nel mio contesto.
Ho rinunciato a un bagno di vita vera, anche se credo renda benissimo il senso, perché mi sembra una soluzione un po’ mogia, e io avevo bisogno di qualcosa di più colorato, vivace. Ma è un’opzione che mi sono tenuta da parte, come alternativa, nel caso in cui la mia scelta fosse contestata in fase di revisione.
Ho subito lasciato perdere la scuola di pizze in faccia, omaggio a Zerocalcare, che anche solo per questo risulterebbe stonata, tanto più che pizze, in quel senso là, ha ancora una forte connotazione regionale/locale.
Ho scelto la scuola dei calci sui denti, alla fine, pur consapevole che è un pelo più strong di quanto non sia the school of hard knocks – ma, del resto, quegli hard knocks non sono nemmeno carezzine sulla guancia, no?
Per una serie di ragioni, mi è sembrato fosse la soluzione più adatta al mio contesto, e non solo per esclusione. Il personaggio che pensa – ma non dice ad alta voce – che la figlia adolescente avrebbe bisogno di un po’ di school of hard knocks, perché è stata cresciuta nella bambagia, in una torre d’avorio, ed è totalmente scollegata dalla realtà, ha un passato da alcolista violento, e in più occasioni si lascia sfuggire pensieri un po’ al limite.
DISCLAIMER: I miei post non hanno la presunzione di rivelare la verità assoluta. Sono solo riflessioni di una traduttrice tra tante. Dicono qualcosa del mio approccio a questo lavoro, che non è l’unico e – soprattutto – non è necessariamente quello migliore. Ma tant’è.