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Quattrocento volte gli occhi al cielo

Non tutti sanno che chi traduce (soprattutto chi traduce dall’inglese) probabilmente la notte sogna gente che strabuzza gli occhi, inarca un sopracciglio, scrolla le spalle e allunga arti a caso.

A questo proposito, ho sviluppato una teoria che non ha alcuna base scientifica, ovvero: più cose del genere ci sono in un libro, più il libro è una ciofeca. E no, non è una questione di show don’t tell, è pura e semplice sciatteria. Perché è vero che, in generale, il lettore italiano si sfastidia più facilmente di quello anglofono, ma al settantaduesimo he said/she said, ve lo garantisco, anche a lui verrà voglia di lanciare il libro dalla finestra.

Di solito, il traduttore esperto e avvertito, soprattutto se è alle prese con un libro venduto – spacciato? – come literary fiction (qui, immaginate un facepalm), si sforza di far sparire buona parte di quei tic. Perché tradurre, purtroppo, certe volte ti costringe a fare anche altro: a editare, a riscrivere.

Ora, ridurre il numero di occhi al cielo, sopracciglia inarcate, spallucce e via dicendo non è chissà quale impresa. Dopo un po’, infatti, diventa quasi automatico. Il problema vero, in un romanzo dove i personaggi alzano quattrocento volte gli occhi al cielo, è un altro. Come dicevo prima, i libri così sono sciatti e i libri sciatti sono rogne.

E se vuoi – devi? – trasformare un libro sciatto in un libro quasi decente – cosa che, peraltro, certe volte ti chiede l’editore, quando te lo assegna, anticipandoti che: Come vedrai, la lingua è un po’ povera, piatta, mi raccomando, alza un po’ l’asticella, rendilo brillantesuderai le proverbiali sette camicie. Non tanto perché ti toccherà sobbarcarti un lavoro che, tecnicamente, non è nemmeno il tuo – vedi sopra alla voce: tradurre, editare, riscrivere – quanto perché, ogni volta che inciamperai in un problema, in una difficoltà, il testo non ti fornirà nessun indizio, nessuna soluzione.

Cos’è che distingue una ciofeca da un buon libro? La coerenza interna, che è prima di tutto – ma non solo – coerenza stilistica. E se c’è quella, è fatta – più o meno. In quei casi, è il testo a guidarti, a indicarti la via, a suggerirti cosa fare, quali decisioni prendere, anche quando ti sembra di brancolare nel buio.


DISCLAIMER: I miei post non hanno la presunzione di rivelare la verità assoluta. Sono solo riflessioni di una traduttrice tra tante. Dicono qualcosa del mio approccio a questo lavoro, che non è l’unico e – soprattutto – non è necessariamente quello migliore. Ma tant’è.